Da Roma a Delhi, e poi il Rajastan
Prima, durante, dopo


venerdì 8 febbraio 2013

Perchè l'India

"Chi ama l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l'amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato. Innamorati, non si sente ragione; non si ha paura di nulla; si è disposti a tutto.

Innamorati, ci si sente inebriati di libertà; si ha l'impressione di poter abbracciare il mondo intero e ci pare  che l'intero mondo ci abbracci. L'India, a meno di odiarla al primo impatto, induce presto questa esaltazione: fa sentire ognuno parte del creato. In India non ci si sente mai soli, mai completamente separati dal resto. E qui sta il suo fascino. 

Alcuni millenni fa i suoi saggi, i rishi, « coloro che vedono », ebbero l'intuizione che la vita è una, e questa esperienza, rinnovata religiosamente di generazione in generazione, è il nocciolo del grande contributo dell'India all'incivilimento dell'uomo e allo sviluppo della sua coscienza. Ogni vita, la mia e quella di un albero, è parte di un tutto dalle mille forme che è la vita. In India questo pensiero non ha più bisogno d'essere pensato. È ormai nel comune sentire della gente. È nell'aria che si respira. 

Il solo esserci induce una inconscia assonanza con quella ormai antica visione. Senza difficoltà si entra in sintonia con nuovi suoni, nuove dimensioni. In India si è diversi che altrove. Si provano altre emozioni. In India si pensano altri pensieri. Forse perché in India il tempo non è sentito come una linea retta, ma circolare, passato, presente e futuro non hanno qui il valore che hanno da noi; qui il progresso non è il fine delle azioni umane, visto che tutto si ripete e che l'avanzare è considerato una pura illusione. 

Forse perché qui la realtà percepita dai sensi non è generalmente presa per vera - non è la « Realtà Ultima » -, l'India infonde, anche in chi non crede in tutto questo, uno stato d'animo di distacco che rende il paese così particolare e la sua realtà, a volte proprio orribile, in fondo accettabile. Accettabile perché così è la vita: è tutto e il contrario di tutto, è stupenda e crudele. Perché la vita è anche la morte, e perché non c'è piacere senza dolore, non c'è felicità senza sofferenza. 

In nessun altro posto al mondo la contrapposizione degli opposti - bellezza e mostruosità, ricchezza e povertà - è così drammatica, così sfacciata come in India. Ma è stata proprio questa visione dell'inevitabile dualità dell'esistenza che spinse i rishi a cercarne il significato recondito, che ancora oggi sembra agire come un catalizzatore spirituale in chi ci si avventura. Basta metterci piede, in India, per provare questo mutamento. Innanzitutto ci si sente più in pace. Con se stessi e col mondo.

Io in India non avevo più bisogno di «rimedi » per sentirmi in pari, per avere il mio, altrimenti instabile, caleidoscopio fisso su un colore piacevole. Il « rimedio » era tutto attorno. In niente di specifico, ma in ogni dettaglio. «L'India è una esperienza che ti accorcia la vita», mi disse Dieter Ludwig il giorno in cui, anni fa, arrivai a Delhi per piantarci definitivamente le mie tende. Poi aggiunse: «Ma è anche un'esperienza che dà senso alla vita ». 

  da  "Un altro giro di giostra" di Tiziano Terzani


venerdì 26 ottobre 2012

‎"India, I have swum in your warm waters and run laughing in your high mountain meadows. Oh, why must everything I say end up sounding like a 'filmi gana', a goddamn cheap Bollywood song? Very well then: I have walked your filthy streets, India, I have ached in my bones from the illnesses engendered by your germs. I have eaten your independent salt and drunk your nauseatingly sugary roadside tea... India, my terra infirma, my maelstrom, my cornucopia, my crowd. India, my too-muchness, my everything-at-once, my Hug-me, my fable... It may be that I am not worthy of you, for I have been imperfect, I confess... India, fount of my imagination, source of my savagery, breaker of my heart. Goodbye."
(Salman Rushdie)

domenica 25 dicembre 2011

Cose che mi ricordo dell'India

In ordine sparso:

  • i vestiti colorati delle donne. Solo a Delhi si vede indosso a qualche ragazza qualcosa di nero, quasi sempre pantaloni o leggins, mai niente di cupo vicino al viso. In un mercato, quando ho cercato del filo per cucire nero per dei pantaloni scuciti... beh, impossibile trovarlo di quel colore-non-colore, e così l'ho preso verde scuro. Presenti invece tutte i colori del mondo.
  • il sorriso di saluto di un sarto nel villaggio subito fuori del Roopangarth Fort: non doveva vendermi niente, solo un cenno del capo e un gran sorriso mentre cuciva sulla sua Singer a pedali  sul ciglio della bottega
  • le risate insieme agli autisti di autorikshaw che mi hanno chiesto una cifra spropositata per andare da un punto all'altro di Delhi,  e poi via, con le 60 rupie di ordinanza, come gli "indigeni"
  • una bambina del villaggio Bishnois che si è incantata per una ventina di  minuti perchè le cantavo in un orecchio piano piano la canzone dei tre porcellini (in italiano)
  • gli occhi verdi inaspettati di tanti uomini, donne e bambini
  • la colazione una mattina a base di germogli di qualche pianta che non ricordo e di frittelle calde e tanto tè
  • i due cani paralizzati che si sono trascinati fino alla mia mano per avere carezze  nel campo di Animal Aid
  • la brezza tiepida del deserto la sera sulla terrazza della ex dimora del maraja
  • la vita in technicolor del Rajasthan
  • molto banalmente, i tramonti


sabato 24 dicembre 2011

Una delle giornate più belle

Ospiti in una scuola elementare dove ho raccontato ai ragazzi da dove vengo e com'è il mio Paese. Io non sono venuta un granchè, ma i ragazzi sono bellissimi.


il piccolino in mezzo recita la parte di Khrisna













sabato 17 dicembre 2011

Il sapore dell'India

Una delle esperienze più significative che è possibile fare su terra indiana è il cibo. Forse l'unica tradizione gastronomica in grado di tenere testa a quella italiana (insieme alla cinese?). E gli indiani amano - proprio come noi - mangiare e  mangiare bene. Niente a che vedere con quei popoli nordici dove tutto è buono purché si ingoi, vedi inglesi, scandinavi, etc. Qui il cibo è una questione seria. I palati sono raffinati e non si accontentano. Per noi vegan la partita non è facile da giocare. Mentre i ristoranti vegetariani sono dislocati ovunque, dai più sperduti paesini tra le colline o alle spalle del deserto alle grandi città, la questione "latticini" rimane invece un punto interrogativo. E' necessario districarsi tra ingredienti più o meno nascosti e - come previsto - il ghee è il maggiore indiziato e il più invadente degli ingredienti. E' facile immaginare un piatto vegan per scoprire poi che è magari cotto nel ghee (burro chiarificato). Molte fritture vengono fatte così. Alcuni tipi di pane. E poi yogurt e paneer (formaggio fresco) sbucano fuori un po' dappertutto. 
Grazie al mio boss di viaggio, Mr. Singhji, ho facilmente evitato di ordinare piatti infidi, ma non sempre sarebbe stato altrettanto facile se fossi stata da sola. Il concetto del volere evitare i latticini suona quanto meno bizzarro. Non se ne vede il motivo e mi sono sempre chiesta in quei giorni se esistono anche in India come ovunque persone allergiche o intolleranti al lattosio. E come fanno?! una battaglia quotidiana, immagino...

Per chi di voi che mi legge e che ha intenzione di recarsi in India, il consiglio è di imparare due parole in hindi e provare a riferire (oltre che in inglese) il concetto al cameriere che prende gli ordini. Non usate la parola vegan perchè suonerà incomprensibile o quasi. Meglio parlare di non volere/potere mangiare i latticini. Quanto alle uova io non ne ho viste, le usano di certo ma non mi sono mai capitate in un menu, se non in maniera esplicita, ad esempio tra i piatti serviti per la prima colazione ai turisti occidentali. Loro a colazione mangiano tutt'altro, in genere piatti salati e piccanti, o ottimi frittelloni ripieni di patate, chutney, e così via.

In ogni caso, ho mangiato divinamente bene praticamente dappertutto. Oltre ad aperitivi e spuntini con street-food vario (frittelle & co.), naturalmente. Situazioni che mi hanno ricordato tanto la mia infanzia a Palermo, quando ero in visita dalla nonna paterna. I mercati brulicavano anche di sera, soprattutto d'estate, e c'erano sempre pentoloni in ebollizione e padelle con fritture calde sempre pronte: dalle panelle alla crocchette di patate, ai carciofi bolliti, al pane col sesamo appena sfornato...

Ecco una panoramica di alcuni piatti che mi sono capitati in tavola.


il tipico thali (il piatto unico indiano)

riso basmati, mini-melanzane stufate, i soliti frittini di verdure....

con l'onnipresente piattino accanto con chapati o naan caldi caldi

vengono lasciati i piatti di portata sul tavolo
per potersi servire fino a...pancia piena!

qui si vede anche la ciotola con
 l'immancabile dhal di lenticchie rosse

melanzante, patate, lenticchie...mmmmm!!!

altra presenza immancabile: piatto di cetrioli e pomodori
(spesso anche cipolla rossa) da spizzicare dopo aver spremuto del limone


a tavola con gli amici inglesi


a tavola sui bastioni del forte di Bhadrajun

giovedì 15 dicembre 2011

Per le strade di Kishangarh

Nella città vecchia, piena di fascino e gente amichevole.









shopping













E poi, sempre nella città vecchia, a pranzo sul lago...

io e il buon vecchio Jonathan





Il Tempio Jainista di Ranakpur

Uno dei più grandi di tutta l'India.